22/07/2025
Cloe Bianco era un’insegnante appassionata del suo lavoro, fino a quando viene prima sospesa per 3 giorni e poi allontanata definitivamente dalle classi e ricollocata in segreteria.
Un provvedimento forte preso in seguito alla sua scelta di smettere di fingere di essere la persona che non era, per presentarsi ai colleghi, agli studenti, ai genitori, mostrando la propria identità di persona trans.
Un genitore a quel punto decide di rivolgersi all'assessora regionale all'Istruzione Elena Donazzan (FDI) per denunciare la cosa. L'assessora definisce l'accaduto una "carnevalata" chiedendosi: "Ma davvero la scuola si è ridotta così?".
Intanto Cloe viene allontanata dal suo lavoro e marginalizzata da tutti sentendosi addosso il peso di una colpa, identificata come una vergogna pubblica. Hanno preferito nasconderla.
Cloe si toglie la vita nel suo camper, lasciandosi bruciare dalle fiamme. Prima di uccidersi lascia un messaggio.
"Subito dopo la pubblicazione di questo comunicato porrò fine alla mia esistenza, ancor più definibile come la mia libera morte. In quest’ultimo giorno ho festeggiato con un pasto sfizioso e ottimi nettari di bacco, gustando per l’ultima volta vini e cibi che mi piacciono. Questa semplice festa della fine della mia vita è stata accompagnata dall’ascolto di buona musica nella mia piccola casa con le ruote, dove ora rimarrò. Ciò è il modo più nobile per vivere al meglio la mia vita e concluderla con lo stesso stile.
Qui finisce tutto. Addio, semmai qualcuna o qualcuno leggerà questo scritto".
Cloe Bianco
Ti dobbiamo tutti delle scuse Cloe, oltre a dover continuare a portare avanti una estenuante lotta per i diritti che chi ci dovrebbe rappresentare definisce "carnevalata".
Un pensiero per te Cloe, non meritavi tutto questo.
Le parole dedicate a Cloe Bianco – insegnante, donna, essere umano – sono un grido dolente che ci mette tutti di fronte a una verità scomoda: la società può ancora uccidere, anche senza armi.
Cloe non è morta soltanto per scelta personale. È stata spinta ai margini, umiliata, esclusa da un contesto – quello scolastico, civile, istituzionale – che avrebbe dovuto tutelarla, ascoltarla, riconoscerla. Invece, ha ricevuto sospetti, derisione, silenzi e porte chiuse.
Essere se stessi non dovrebbe mai costare la vita.
La scelta di raccontarsi, di non mentire più, di apparire in pubblico con il proprio nome e il proprio volto autentico, è stato un atto di verità e coraggio. E invece è stato trattato come una “carnevalata”, parola atroce che racconta più del disprezzo che del disaccordo: una banalizzazione dell’identità, un’offesa che è rimasta impressa come una ferita.
Il gesto di Cloe, il suo “saluto finale”, è tragico e poetico insieme. Nella sua lucidità e nella cura con cui ha descritto gli ultimi momenti – il pasto, il vino, la musica, la sua “piccola casa con le ruote” – c’è una bellezza struggente, e insieme un dolore immenso, che nessuno dovrebbe sopportare in solitudine.
Quel camper, ultimo rifugio di dignità, è diventato un altare silenzioso di ciò che abbiamo perso come comunità.
E sì, le scuse sono dovute. Ma non bastano.
Serve che la morte di Cloe diventi memoria viva, una spinta a riformare non solo le istituzioni, ma il cuore della società: la scuola, i media, la politica, i bar, le famiglie, le nostre teste.
Serve che smettiamo di pensare che certe battaglie riguardino “gli altri”.
Perché l’umanità è una sola, e ogni volta che la calpestiamo, perdiamo tutti.
Un pensiero per te, Cloe,
per la tua forza, per la tua solitudine, per il tuo gesto estremo.
Ti è stato negato l’ascolto in vita:
facciamo almeno in modo che in morte la tua voce non venga più ignorata.